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lunedì 17 febbraio 2014

LA MIA SCUOLA - OGNI SCUOLA ?

   La mia generazione non ha subito lo shock devastante di una guerra mondiale, ma una rapida e prepotente rivoluzione che  ha richiesto una capacità di adattamento altrettanto sconvolgente.
   Noi nati negli anni cinquanta, siamo passati dal pennino con l'inchiostro, dall'italianizzazione di ogni nome straniero,  dall'agorà obbligatorio per avere rapporti umani, al tablet, agli hangouts, ai social network che di sociale hanno poco perchè mettono un filtro tra noi e gli altri e tolgono quella comunicazione verbale e non verbale, fatta di voce diretta e sguardi, fondamentali per i rapporti umani, e hanno molto di invasione della privacy. Siamo passati all'uso di linguaggi settoriali discriminanti anche verso chi non ha possibilità economiche per acquisire formazione ed utilizzare le nuove tecnologie. Siamo passati dalle sicurezze create dallo stato sociale coi mitici "bollini della pensione" e con la "certezza della pena" almeno apparente, dalle lezioni di economia domestica alla resiliency obbligatoria, alla precarietà alla pensione che ti devi fare da te, all'incapacità o alla poca possibilità di gestire autonomamente la propria vita in casa. E "la certezza della pena"? Basta guardarsi attorno. Senza commenti.
   Per festeggiare i sessant'anni, mi hanno chiesto di ricordare la mia  vita  nella mia città natale.  Ci provo.
   Sono nata a Seregno ma non ho vissuto coi miei genitori per i primi sei anni, se non sporadicamente, e il ricordo della mia città si limita a quelle scale di via Magenta che mio padre mi faceva fare seduta sulla sua mano aperta, come su un ascensore, con affetto e tenerezza infiniti.
Poi ecco l'ottobre del 1960, l'inizio della prima elementare, l'inizio della mia vita sociale anche se circoscritta e protetta, quella vita che forma ma evidenzia anche il nostro vero essere.
   La mia scuola elementare era la Statale "Umberto I" , col portone per i maschi e quello per le femmine. La maestra Rimoldi ci accoglieva sempre sorridendo, togliendosi il cappello ed il cappotto con un rito rassicurante. Eravamo 42 bambine in classe, i banchi erano troppo grandi e avevano il calamaio che la bidella riempiva ogni mattina di inchiosto viscoso. Il nostro materiale scolastico era costituito da una quadernetto, sei pastelli piccoli (riconoscevi le bimbe benestanti dai Caran D'Ache o dai Giotto lunghi lunghi), una penna coi pennini e un dischetto di pannolenci.
   Alla mattina, andando a scuola, molti bambini si fermavano alla cartoleria Santambrogio per rifornirsi di pennini, o del pastello rosso che finiva sempre troppo presto . C'erano pennini lunghi e affusolati e quelli bombati, i miei preferiti. Ti veniva chiesto di scrivere bene. Quanti "scrivi meglio" c'erano alla fine di ogni mio compito o dettato o tema che fosse! Dovevi abilmente maneggiare la penna sù e giù ricordando di star leggero andando in sù e calcare andando in giù, e guai alle macchie di inchiostro! Talune maestre arrivavano a bacchettare le dita o a tirare i capelli a chi sbagliava, ma per fortuna non la mia , che sapeva gestire con fermezza quarantadue femmine molto diverse tra loro. Compariva ad arte l'invito a cantare :" e la bandiera dei tre colori, è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliam la libertà".
Dalle scale, dai corridoi nelle aule arrivava un forte odore di minestrone di pasta proveniente dalla mensa scolastica, unico luogo in cui maschi e femmine riuscivano ad addocchiarsi.
   Dopo le 16 si tornava a casa, magari passando da corso del Popolo, dalla salumeria del sig. Poldo, mi pare che si chiamasse così. Questo salumiere era buffo : quando gli chiedevi un etto di prosciutto, regolarmente ti diceva :" Sono 105 grammi, glielo lascio lo stesso?".
   Col 1966 il mio mondo sociale è cambiato. Mia madre mi aveva comperato coi punti Star, un paio di pattini a rotelle coi quali vivevo praticamente sempre. Andavo a pattinare dalle Suore in via Lamarmora, e si giocava a "bandiera", ma alcune ragazzine non volevano che io salissi sulla pista perchè non avevo i pattini con lo scarponcino. Così ho conosciuto Rita, quella che è stata per molti anni la mia amica del cuore. L'ho conosciua perchè mi ha difeso con fermezza, facendo notare  che avevo gli stessi diritti delle altre, e che comunque sapevo pattinare bene.
Ritrovai Rita con gioia, alle Medie in Collegio e da allora, per tanti anni, la sua casa fu la mia, con sua sorella e i suoi fratelli e il suo incredibile e mitico papà.
   Il Collegio "S.Giovanna d'Arco" significò l'inizio del mio rapporto con le Suore, che sarebbe continuato per scuole, per lavoro e per volontariato ospedaliero con la Croce Rossa fino al 1994.
Suor Antonietta piccola e rotondetta, Suor Davidica che scuciva gli orli delle gonne all'ingresso, Suor Anacleta chiamata impertinentemente "suor limone"per il colorito del suo viso, Suor Riccarda e la sua passione per la Storia dell'Arte, e le Professoresse di cui fatico a ricordare il nome. Anzi ricordo solo la Bonalumi, di Scienze, che aveva fatto una tesi di laurea con uno studio sullo shock da peptone nei ratti. E le alunne interne, particolarmente gradite a Suor Amelia.
Arrivata a frequentare le Magistrali, professori e professoresse sono diventati più importanti per la nostra crescita personale. Come non ricordare Ella Puritani, mia maestra di vita con Padre Giulio, che ora dirige una casa per malati di A.I.D.S a Monteporzio, o il Prof Spinelli, timido e appassionato di Manzoni e di Dante, Suor Rachele e tante compagne seregnesi e non, tra cui Carmen, che frequento ancora adesso e Piera, compagna di birbonate. Sicuramente dimentico qualcuna.
Le Suore avevano cambiato più volte l'orario di uscita, posticipandolo o anticipandolo di 5 minuti per non favorire l'incontro delle collegiande con i collegiandi del vicino Collegio maschile, ottenendo l'effetto opposto.
C'erano comunque due storici posti d'incontro e appuntamento  in centro : la Biblioteca Civica e la latteria della signora Bambina, con le sua "Romantica", un'immensa cioccolata strabordante di lattemiele.
    Certo che i ricordi spesso sono confusi, soprattutto in una vita intensa e spesso adornati con nostalgie e sfronzoli, a volte solo perchè la vita attuale sta stretta.
Per me sono solo un bellissimo ricordo, qualcosa che era bello perchè era allora, con una me allora che gli altri 42 anni da adulta per lo più altrove, non hanno rovinato ma non sono nemmeno  diventati qualcosa a cui aggrapparmi per vivere. 
E' stato bello, intenso, come tutta la gioventù, ma quando vedo il sorriso dei miei figli, e i baffi ormai grigi di mio marito, quando sono con loro sull'Alpe di Siusi, o ci discuto animatamente per le mie abilità informatiche decisamente inferiori alle loro, ogni luogo e ogni tempo perdono d'importanza.
 E' il presente da gustare centellinando ogni attimo.

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